Religione

Tommaso. Rotolare la pietra della paura e dell’incredulità

Meditazione II^ Domenica di Pasqua 2020

 

Tommaso: “A me non interessa che altri ti abbiano visto, io voglio imparare a sentirti mio”

“La sera del primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”. Gv 20,19-31

Nel brano di questa II^ Domenica dopo Pasqua vediamo gli apostoli chiusi nel cenacolo per paura degli ebrei. Il loro cenacolo somiglia, per certi aspetti, ad un sepolcro ancora chiuso dalla pietra tombale in contrasto col sepolcro vuoto del Cristo Risorto come appare nel giorno di Pasqua. I discepoli, ancora increduli dinanzi all’evento glorioso della resurrezione del loro Maestro, si rinserrano nel loro cenacolo, ne chiudono le porte non solo per “paura degli ebrei”, ma anche per il sentimento di smarrimento che opprime il loro cuore, per la paura di non essere capiti, per la paura di constatare come i propri progetti possano rivelarsi un fallimento. Anche noi, in clima di pandemia, come gli apostoli, rischiamo -per paura- di rinchiuderci nelle nostre case se in noi prevarrà il sentimento di sfiducia, di estraneità dell’altro, di impotenza e di inermità per il fallimento delle nostre sicurezze e pretese di onnipotenza e di dominio del corso degli eventi. Come credenti, o come uomini che hanno fede laica nel valore supremo del bene comune, sappiamo però che con la Pasqua la pietra tombale è stata rotolata e che la speranza è definitivamente risorta. Perciò, se le nostre case rimangono ancora chiuse, possiamo e dobbiamo spalancare le porte del nostro cuore alla speranza che –come il soffio impetuoso dello Spirito- ci spinge ad immaginare un futuro diverso e ci sprona all’impegno responsabile per un mondo migliore.
Il Vangelo di questa Domenica ci presenta anche la figura di Tommaso che -tra tutti gli apostoli- è, pur con la sua doppiezza ed ambiguità, con i suoi dubbi e la sua fatica di credere, colui che continua a cercare non rassegnandosi a “restare chiuso”. Ed è proprio per questo che Tommaso ci rappresenta tutti. Tommaso è un uomo che “non riesce a credere nella risurrezione perché gli sembra una scappatoia fantasiosa che contrasta con la realtà”. Tommaso è un uomo normale, concreto, che dubita, “un uomo saggio, non sciocco”. Un uomo che si pone e fa domande, perché “credere non significa smettere di pensare, di dubitare, di interrogarsi”. A Tommaso non basta sentire: “Abbiamo visto il Signore”, perché la nostra non si può chiamare fede “se è solo per sentito dire”. La fede è sempre frutto dell’esperienza personale di incontro con il Signore. E Tommaso, dinanzi al corpo trafitto di Gesù, “corpo narrante” che, con le sue piaghe, racconta sinteticamente la propria vita come una vita di amore e di perdono, si scopre amato e perdonato dal Signore nella sua stessa incredulità. In questo modo, Tommaso vince le sue resistenze, poiché adesso è in grado di accettare se stesso in quanto per primo Gesù ha mostrato di accettarlo e di accoglierlo pur con tutti i suoi limiti e pretese, le sue contraddizioni ed ambiguità. Tommaso significa “gemello”, come a dire che egli è il nostro gemello, in quanto condivide con noi il rischio di incredulità e, nel contempo, il bisogno di credere. Ed è solo attraverso queste strettoie che il credente può, come Tommaso, fare la propria, più alta, professione di fede: “Mio Signore, mio Dio”.
“A me non interessa che altri ti abbiano visto, io voglio imparare a sentirti mio. Come ferita aperta nella mia carne”.

Giuseppe Vasco

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