Avvistamenti

Riccardo Rossi e le missioni di Fratello Biagio Conte

 “Non esiste la parola migrante: esiste la parola fratello. A me non interessa sapere da dove viene e che passato ha, mi interessa solo costruire con lui il futuro”.

E’ una frase che Fratello Biagio Conte pronuncia spesso e che vive ogni giorno, lui che nel 1991 si mette alle spalle la vita agiata di figlio di imprenditore edile per dedicarsi del tutto ai più poveri e ai più fragili, vivendo da laico missionario, a Palermo.

Oggi nelle sue missioni si accolgono mille e cento persone fra immigrati, poveri, imprenditori falliti, barboni, prostitute, separati caduti in miseria, ammalati, tossicodipendenti, vittime sopravvissute alla mafia, si somministrano oltre tremila pasti e vi lavorano più di quattrocento volontari.

Il suo addetto stampa si chiama Riccardo Rossi.

Nello scorso novembre, attraverso un amico comune, entro in contatto con lui per parlare di disabilità, attraverso un fitto scambio di messaggi. Questa volta l’avvistamento è del tutto imprevisto.

Di lì a poco lo vado e trovare e quella che era iniziata come una conoscenza virtuale diventa una sincera, reale amicizia.

Riccardo è un giornalista ed è direttore del giornale “La Speranza”, organo di stampa della Missione. Mi ospita per qualche ora nella “Casa del Vangelo” a Palermo, una struttura nella quale vive insieme alla moglie Barbara, con la quale hanno scelto di dedicarsi anche ai poveri, vivendo solo di Provvidenza e mettendo in pratica il Vangelo in modo radicale. Ci sediamo a parlare ad un lungo tavolo rettangolare con una tovaglia di plastica, in un refettorio dall’aspetto forse più povero che sobrio, ma nel quale mi sento subito a mio agio, accolto da lui e dalla sua signora.

 

Parla di te, le tue origini, i tuoi interessi

 “Sono napoletano, un po’ veneto e un po’ croato. Papà è stato profugo, è di origine istriana nato a Pola. Sono stato sempre un… chiaccherone e per questo diventare un giornalista non è stato difficile: comunicare resta una delle cose più importanti della mia vita. Ma nel mio DNA vi è la buona notizia” e lo dice ammiccando, sussurrando il doppio senso fra buona notizia e Buona Novella.

Continua: “Hobby ne ho pochi anche se adoro leggere e guardare film, ma il mio tempo è quasi esclusivamente dedicato ad essere strumento per edificare il Bene. Cerco di essere ogni giorno un uomo di fede, uno che vive il Cristianesimo, semplicemente e concretamente”.

Fa piacere sentirlo parlare, con la sua faccia sorridente e quell’accento napoletano che ti mette allegria e ti invita all’ascolto.

Quali sono stati i momenti più forti della tua vita?

 “Per circa 40 anni ho vissuto nel buio, alla ricerca di una felicità che mi sembrava impossibile da raggiungere e che ad un certo punto ho deciso di non cercare più. Se sono rinato lo devo alla la scoperta dell’amore di Gesù e di Maria e all’incontro con Barbara. Posso dire che le mia salvezza è passata da lei, perché mi ha insegnato la costanza nella fede”.

Continua abbassando per un attimo lo sguardo: “Papà è stato un violento che a sua volta aveva imparato da suo padre ad essere manesco. Di bello c’è stato essere riuscito a perdonarlo, dopo tanti sforzi e con l’aiuto di Dio.

Il momento che ha segnato la mia vita risale a un anno fa. Stavo attraversando un periodo difficile ed ho chiesto a Dio un segno forte. Mentre ero in viaggio per Palermo per realizzare il giornale “La Speranza” e per stare tre giorni in vacanza con mia moglie, ho saputo che Fratello Biagio si era abbandonato in strada sotto la Posta Centrale di via Roma per chiedere a tutti, Istituzioni, religioni, semplici cittadini, di accogliere i poveri. Ho capito che dovevo stare accanto a lui, e così ho fatto, dormendo per dieci notti su un cartone e con qualche coperta, sperimentando la pioggia, il freddo rigido o la difficoltà di trovare un bagno. Ma ero felicissimo perché dentro di me avevo capito che stavo facendo la scelta giusta, quella di stare accanto a Fratello Biagio che si era fatto strumento di Dio per svegliarci dall’indifferenza verso chi soffre. Dopo quei dieci giorni carichi di fatica e di Spirito Santo ho sentito con chiarezza la chiamata di Dio ad essere un “comunicatore sociale” per dare voce ai poveri e così io e mia moglie, che mi è sempre stata accanto, abbiamo deciso insieme di trasferirci da un centro nel catanese, dove già ci occupavamo di ultimi (io assistevo alcuni disabili e mia moglie cucinava per oltre 50 persone) alla Missione Speranza e Carità di Palermo.

Un altro momento indimenticabile è stato pranzare accanto a Papa Francesco, durante la Sua visita alla Missione: se lo dovessi definire con due parole direi semplice e sacro”.

 

E la tua vita nelle missioni?

 “All’inizio con Barbara abbiamo vissuto momenti difficili come il ritrovarci separati per oltre un mese un mezzo, ospiti io nella missione maschile e lei in quella femminile. Da poco abitiamo nella “Casa del Vangelo”, una struttura legata al Beato Puglisi, con il quale ho una grande amicizia. Col passare dei giorni abbiamo messo a disposizione le nostre competenze, dando vita ad attività, alcune delle quali organizzate in laboratori, per offrire ai nostri ospiti occasioni di svago e di lavoro.

Abbiamo messo su una squadra calcio con ragazzi migranti. Sta nascendo un laboratorio di informatica, per insegnare loro l’utilizzo del computer. Barbara partecipa al laboratorio tessile e mi aiuta in tutto quello che faccio, nei tanti incontri, nelle testimonianze e corregge le bozze dei miei articoli. Abbiamo piantato semi per altre iniziative e già in alcune missioni, nate in campagna per volere della Provvidenza, si coltiva la terra e si allevano gli animali. Con il frutto di queste attività sopperiamo a circa il 40% dei fabbisogni delle Missioni: il resto ci giunge attraverso i nostri sostenitori”.

 

Ci parli dei prossimi progetti?

 “Nello scorso mese di gennaio ho fatto partire un’operazione che ho chiamato “Ponti di Bene”: mi sono recato al nord per incontrare realtà simili alla nostra, piccole, come alcune parrocchie, e grandi come il Sermig di Ernesto Oliviero, ma tutte accumunate da un forte radicamento nel volere accogliere chi ha bisogno. Abbiamo concordato percorsi per favorire uno scambio di risorse, di conoscenze e di opportunità. A giorni partirà uno dei nostri ospiti per iniziare un’esperienza lavorativa”.

Cambiamo argomento: parlaci della tua Fede

“La mia esperienza è questa: più vado avanti nella Fede e più ci sono le seduzioni del male. Sono sempre più forti in me le tentazioni di Satana e se poi mi giro intorno vedo un mondo sotto attacco. Vedo il Decreto di sicurezza che sta facendo tanto male, ad esempio. Questo periodo per me è un periodo molto difficile. Ma i momenti oscuri sono quelli in cui bisogna pregare con maggiore intensità, guardare Cristo negli ultimi, rimboccarci le maniche e fare strada insieme con chi condivide gli stessi valori umani. In questo torna la Speranza e risplende la Luce”.

E i tuoi sogni?

 “La Fede è un potere straordinario e più abbraccio Gesù nei poveri, più posso essere strumento per cose eccezionali; d’altra parte è Lui che ci ha detto che già in questa vita possiamo fare cose più grandi di Lui. Per questo sogno in grande e cerco ogni giorno di fare sempre più vivere in me Cristo per realizzare cose bellissime.

Sogno un mondo dove la comunicazione sia sempre vera, che dia spazio alle buone notizie e che sia di aiuto per edificare una società migliore. Sogno un mondo dove nessuno è straniero, ma siamo tutti fratelli per edificare insieme un luogo più solidale e dove tutti apriamo le porte a chi è in difficoltà. Ogni sogno è possibile se diventiamo strumenti di Dio, occorre accettare le nostre croci e guardare con speranza alla resurrezione. Nulla ci deve impaurire se siamo in Lui” ed è assai convincente, nel pronunciare queste parole.

Ci salutiamo abbracciandoci e senza pensare che ci conosciamo di persona solo da un paio d’ore. Risalgo in macchina e mi viene spontaneo ringraziare Dio per avermi fatto conoscere Riccardo e Barbara, due che il futuro lo stanno costruendo davvero.

Marco Milazzo

 

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