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Giovanni Lo Giudice riceve il Premio Gaber: omaggio al pensiero che non smette di cercare

Ci sono momenti che arrivano all’improvviso ma sembrano attesi da sempre. Momenti in cui l’emozione prende il sopravvento, le parole si fanno vibranti e il cuore si spalanca di gratitudine. Per Giovanni Lo Giudice, il 25 luglio a Viareggio, è stato uno di quei momenti.

Nella suggestiva cornice di Piazza Mazzini, a pochi passi dal mare, davanti a una platea colma e partecipe, l’ennese di nascita e borgosesiano d’adozione ha ricevuto il prestigioso premio “Il Luogo del Pensiero”, promosso dalla Fondazione Gaber. Un riconoscimento che va ben oltre il valore simbolico di una targa o di un diploma: è la consacrazione di un talento autentico, di un’anima che crea per necessità e che ha fatto dell’arte uno spazio di cura e di riflessione.

Giovanni, medico per vocazione e artista per urgenza interiore, ha ricevuto il premio per due opere toccanti: la canzone “Amico G”, scritta da lui e musicata da Fabio Lamanna e il monologo teatrale “Il tempo che indosso”. Due linguaggi diversi, fusi in un’unica voce, quella del teatro-canzone, che rende omaggio al pensiero vivo e irriverente di Giorgio Gaber. E proprio il rapporto con Gaber, che Giovanni definisce “il mio propulsore creativo”, è stato il cuore della sua intensa presentazione sul palco.

“Sono stati 14 minuti che non dimenticherò mai – racconta – più emozionanti persino del giorno della laurea. Davanti a nomi importanti del giornalismo e dello spettacolo, mi sono sentito piccolo e grato, ma anche fiero di essere lì con le mie parole e la mia voce.” E poi aggiunge con un sorriso che dice tanto: “Io, abituato a ricevere medaglie per le partite a Subbuteo…”

Ma quella sera a Viareggio, Giovanni non era un artista emergente tra tanti. Era un uomo che ha saputo intrecciare medicina e musica, cura e parola, profondità e ironia. Era l’uomo giusto, nel posto giusto, a raccontare un mondo interiore ricco di senso. A dare voce a chi sente, a chi cerca, a chi non smette di pensare.

Dopo la consegna del premio, la scena è passata a Paola Matera, interprete intensa e raffinata del monologo e della canzone, accompagnata da Fabio Lamanna alla tastiera. Applausi sinceri, emozione palpabile. Una magia che resterà. Perché le parole di Giovanni non sono solo scritte: sono vissute. E chi le ascolta lo sente.

Forse è vero che questo premio non ha ancora la risonanza mediatica che meriterebbe. Ma è proprio nella sua essenza, intima, colta, profonda, che trova il suo valore più grande. Premia chi non urla, ma dice. Chi non cerca ribalte, ma cammini. Chi crea con onestà e passione.

In Giovanni vive qualcosa che Gaber avrebbe riconosciuto al volo: la forza del dubbio, il coraggio della parola, la bellezza di un pensiero non allineato. Il premio è il sigillo di una voce che, senza gridare, lascia il segno.

Manuela Acqua

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