Cultura

Ricordare è rendere presente quanto non c’è più

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: «Vado e tornerò da voi». Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate. (Gv 14,23-29)

Il Vangelo di questa domenica ci indica dove Dio sceglie di abitare, non in un tempio  ma nell’uomo: “Se uno mi ama, metterà in pratica la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”, laddove una certa tendenza spiritualistica spinge -al contrario- a dissolvere le componenti spaziali della santità (Dio è ovunque) per fare del tempio il centro della santità al posto della Città e della Terra. E l’abitare significa che io sono le relazioni che vivo in una determinata condizione ambientale: la nostra identità personale non è colta perciò dalla domanda “Chi sei?”, quanto dalla domanda “Dove abiti?”. Inoltre abitare significa dimorare, cioè restare, avere continuità nella condizione ambientale, ecologica, in cui vivo. Per il credente questo significa che la sua vita interiore non potrà essere autentica senza una autentica relazione personale col Signore, senza una vita spirituale nascosta, ma reale, animata dall’azione dello Spirito, quello Spirito consolatore che Gesù ci lascia mentre annuncia il suo distacco dai discepoli e il suo ritorno al Padre. Il Signore ci educa -in tal modo- su come vivere gli innumerevoli distacchi di cui facciamo esperienza nella nostra vita, alcuni voluti, altri casuali, altri ancora subiti: dal primo distacco dal grembo materno che ci introduce alla vita al distacco finale con cui ci congediamo da questo mondo. Nella relazione amorosa, così come in qualunque altra relazione affettivamente significativa (pensiamo alla relazione genitoriale), non è certo facile dirsi addio o lasciare andare la persona amata: la nostra capacità di attraversare il dolore e la sofferenza che questi distacchi comportano dipende molto dal modo in cui abbiamo vissuto le nostre relazioni affettive. Gesù traccia, per così dire, le linee di una “pedagogia dell’assenza”, ci indica una strada per affrontare il dolore, il vuoto profondo che scava in noi l’assenza della persona amata: non perdere mai la memoria della relazione, ma lasciarsi aiutare a ricordare; non concentrarsi sulla delusione del momento o sul dolore presente, ma recuperare sempre il ricordo della bellezza della storia che ci ha accompagnati e ci ha fatto camminare insieme. Ricordare è rendere presente quanto non c’è più: il ricordo è la forma di una presenza che si manifesta nel corso dell’assenza. Ecco la funzione dello Spirito consolatore, del Paraclito, che viene in nostro soccorso aiutandoci a dare un senso a quello che abbiamo vissuto (“Il Paraclito, lo Spirito Santo … lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”). Gesù ci insegna, così, “l’arte di lasciare la presa : se ne va senza ansia per la sua comunità, ma anzi con la fiducia che c’è lo Spirito, il Consolatore e Difensore”, e la pace che lascia al posto suo (“Vi lascio la pace, vi do la mia pace”). La pace su cui può riposare la nostra vita scaturisce dalla consapevolezza di essere, come dicevamo sopra, abitazione di Dio, una sola cosa con lui, osservando la sua parola, innestando cioè la propria vita su quella vite feconda che è la persona stessa di Gesù. Lo Spirito Santo è, in definitiva, il Maestro interiore che ci abilita ad una comprensione più profonda del Vangelo: “la fede dei grandi padri della Chiesa è ancora la fede della Chiesa di oggi … ma oggi il Vangelo lo comprendiamo più di ieri, più di mille anni fa”. Inoltre “se il maestro interiore è nel battezzato, allora l’opera di educazione e di approfondimento della fede deve soltanto suscitare e stimolare l’interiorità del credente, il quale ha già in sé le risorse basilari per il suo cammino di fede.   Altrimenti si fa opera non di e-ducazione, ma di se-duzione; non si attua una liberazione, ma si instaura una dipendenza”.

Mostra altro

Articoli Correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
error: Contenuto Protetto!
Close
Close