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L’accoglienza come antidoto all’anonimato

L’accoglienza come antidoto all’anonimat
In quel tempo, mentre Gesù e i suoi discepoli erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta». Lc 10,38-42
Il brano evangelico di questa Domenica è centrato sul tema dell’accoglienza. Dio è l’ospite inatteso che irrompendo nella nostra vita ci strappa dall’attenzione ossessiva che riserviamo a noi stessi e viene a liberarci dall’adorazione sterile del nostro io. Dio è l’altro che ci visita spesso camuffato in vesti che ce lo rendono irriconoscibile. Proprio per questo S.Tommaso afferma che noi conosciamo Dio come “sconosciuto”: questa alterità di Dio noi la sperimentiamo ogni volta che entra nella nostra cerchia il diverso e l’estraneo. In queste circostanze siamo provocati ad espellere ciò che non ci rassomiglia, ciò che contraddice l’immagine che abbiamo creato di noi stessi. Ma non accogliere è peccare contro la fede, come se noi non credessimo che l’incarnazione di Gesù prosegua in coloro che incontriamo. Certo la visita dell’altro porta scompiglio, spezza la routine consolidata, toglie sicurezza alla nostra rete di certezze e comodità cui ci siamo abituati e da cui ci sentiamo protetti. Un po’ come accade in una famiglia con l’arrivo di un bambino, che sicuramente rappresenta una grande gioia, ma richiede anche di rivedere spazi, schemi, abitudini. “Un figlio ti decentra e ti allena a non pensare solo a te stesso”. Quotidianamente, infatti, siamo interpellati da un altro che invade il nostro spazio, in maniera più o meno discreta e silenziosa. Per questo è importante chiederci ogni volta se in quella presenza, in quel volto, non ci sia la presenza e il volto di Dio che viene a strapparci dal nostro intimismo ovattato “dove non penetra l’ordine del giorno che il mondo ci impone”. E necessario perciò chiederci ogni giorno: “Chi può dipendere da me oggi? Chi mi è passato accanto?”, per non lascarci sfuggire la novità e la bellezza dell’incontro, ancor più se inatteso.
Ora, i due personaggi centrali di questo brano, Maria e Marta, ci raccontano due diversi modi di vivere la presenza dell’altro nella nostra vita. Maria accoglie Gesù ponendosi decisamente alla sua presenza perché ha la consapevolezza che più importante del bisogno fisiologico del nutrirsi, c’è la necessità di placare la fame di senso, e per questo si fa discepola della Parola e non solo del servizio come la sorella Marta. Si pensi che per la tradizione rabbinica alle donne era impossibile diventare discepole di un rabbi (“Si brucino le parole della Torah, ma non siano comunicate ad una donna”): Maria invece ha il coraggio di ridefinire la propria identità, passando da donna (e perciò esclusa dall’insegnamento della Torah) a discepola. Marta, da parte sua, dandosi da fare per accogliere nel miglior dei modi Gesù, proprio a causa del suo stesso zelo, finisce per sconfinare nell’inquietudine e nella preoccupazione. A questo proposito, l’ammonimento di Gesù nei confronti di Marta, non il suo rimprovero, vale a sottolineare il valore dell’ “occuparsi non del preoccuparsi, del lavorare non dell’agitarsi, del servire non del correre”. Del resto capita anche a noi che le cose da fare diventino più importanti della persona per cui le stiamo facendo, per cui, come Marta, finiamo per metterci in ascolto di noi stessi e della nostra solitudine. Inoltre, per Marta, c’è un solo modo di accogliere il Signore, l’altro: il suo. Ed è questa la ragione di tante tensioni tra di noi che scaturiscono dalla pretesa del modello unico. “Al centro non c’è più il Signore, ma la mia pretesa, il mio modo di intendere il rapporto con lui”. Può capitare, anche, che, proprio perché non vogliamo ascoltare, ci diamo da fare, in questo modo nascondendo dietro l’apparenza del bene e dell’efficienza, la nostra intenzione di non essere disturbati dalle parole dell’altro.
Come si vede non c’è alcuna opposizione tra Maria e Marta, tradizionalmente intesa come opposizione tra contemplazione e attività, quanto opposizione tra due modi di accogliere l’altro, opposizione tra ascolto e non ascolto del Signore. Don Tonino Bello volendo superare questa logora opposizione tra contemplazione ed attività ha affermato che i cristiani sono chiamati ad essere contempl-attivi, con due t, cioè persone che partono dalla contemplazione per poi lasciar sfociare il proprio dinamismo ed impegno nell’azione. Ossia, non occorre coltivare né uno spiritualismo intimista né un attivismo sociale, ma operare una sintesi vitale tra l’uno e l’altro, essere cioè “contemplativi nell’azione”.

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