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“Dai Ali alla legALItà: Voci, Vite, Storie” Percorsi di legalità: lotta alla mafia e alla criminalità organizzata

Questa mattina gli studenti hanno incontrato Giovanna Raiti sorella del carabinieri ucciso dalla mafia

Appuntamento, questa mattina, alla Procura della Repubblica di Enna, con “l’educazione alla legalità”: presso l’Auditorium “Falcone – Borsellino” si è svolto, infatti, un incontro-testimonianza nell’ambito del progetto “Dai ali alla legALItà”. Si tratta di un progetto, appunto, realizzato con il contributo dell’Assessorato Regionale dell’Istruzione e della Formazione Professionale, che prevede il coinvolgimento di Enti, Organismi e rappresentanti della Società Civile al fine di tracciare un itinerario che porti a una consapevolezza etica, a una responsabilità partecipata e a un’educazione alla legalità. Parte attiva di questo percorso sono gli studenti di cinque istituti superiori della città: l’Istituto Professionale Statale “Federico II”, il Liceo Artistico Regionale “Luigi e Mariano Cascio”, il Liceo Scientifico Statale “Pietro Farinato”, l’Istituto d’Istruzione Superiore “Lincoln”, l’Istituto d’Istruzione Superiore “Napoleone Colajanni”.

L’incontro di stamattina ha visto protagonista Giovanna Raiti, sorella del carabiniere Salvatore Raiti, 19 anni e solo sei mesi di servizio, ucciso nella “strage della circonvallazione”. Presente anche il fratello di Giuseppe Di Lavore, autista dell’auto su cui viaggiavano le vittime del vile agguato. La “strage della circonvallazione” è stato uno dei tanti, ignobili attentati mafiosi che hanno insanguinato la Sicilia: fu attuato il 16 Giugno 1982 sulla circonvallazione di Palermo e aveva come obiettivo il boss catanese Alfio Ferlito, che doveva essere trasferito dal carcere di Enna a quello di Favignana e che perse la vita insieme ai tre carabinieri Silvano Franzolin (41 anni), Luigi Di Barca (25) e Salvatore Raiti, e al ventisettenne Giuseppe Di Lavore, autista civile della ditta privata a cui veniva appaltato il trasporto di detenuti (aveva quel giorno sostituito il padre, e verrà poi insignito della Medaglia d’oro al Valor Civile). Mandante della strage fu Benedetto (Nitto) Santapaola, da anni in guerra con il Ferlito per la supremazia sul territorio etneo.

Dopo i saluti di rito da parte del Procuratore di Enna, dott. Massimo Palmeri, e della dirigente scolastica dell’Istituto Professionale Federico II di Enna, Giusy Gugliotta (capofila fra gli Istituti Secondari nell’ambito del progetto), la quale ha ricordato come fino a stamattina si sia svolta nel territorio ennese un’operazione dei Carabinieri che ha portato a ventuno arresti per mafia, ha preso la parola la signora Raiti, che, con alle spalle l’immagine iconica di Falcone e Borsellino che campeggia nell’auditorium, ha reso la sua testimonianza sulla strage e su quello che vuol dire essere familiare di una vittima di mafia. Una testimonianza dura, appassionata, forte, colma di dignità e coraggio, fatta faccia a faccia con i ragazzi, passando in mezzo a loro.

Aveva 17 anni, Giovanna, quando ha ricevuto la notizia che le ha stravolto la vita: la perdita di un fratello nel modo più truce e drammatico. Decide, così, di raccogliere il coraggio a due mani e cominciare, perché ne sente la necessità, a raccontare i fatti. Scrive un libro con un giornalista, i cui proventi andranno a Libera, e racconta nelle scuole e testimonia: sono gli anni Ottanta, anni durante i quali non si può parlare di mafia; ma la mafia esiste e Salvatore ne è stato vittima. Dopo un decennio, il dolore è sempre grande, intenso, ma decide di non esporlo più con rabbia, ma di fare di esso un messaggio d’amore. Perché si deve coltivare e seminare per poter raccogliere frutti buoni.

Dopo un rapido accenno a come ha preso avvio il fenomeno malavitoso, e come sia cambiata adesso l’iconografia del mafioso (dalla coppola al colletto bianco), ha raccontato la genesi della strage, i legami fra mafia e camorra e la lotta per il predominio nel Catanese: con pathos ed emozione ha rivissuto quei momenti, il racconto dell’uccisione a colpi di kalashnikov, lo strazio della famiglia, il funerale in cattedrale (quando suo padre accusò le istituzioni, i rappresentanti dello Stato si defilarono: l’unico che restò fu il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, a cui sarebbe toccata la stessa, terribile sorte il 3 settembre successivo). Nessuno di loro avrebbe dovuto essere lì quel giorno: Franzolin era stato richiamato dalle ferie, Di Barca e Raiti avevano sostituito due colleghi, Di Lavore il padre. Eppure si trovarono a perdere la partita con il loro destino, a cadere con onore nell’espletamento del servizio. Raiti fu trovato con la pistola sfoderata sotto la coscia: aveva paura, ma lo guidava (lui e i colleghi) il senso di responsabilità e del dovere.

Grande commozione ha suscitato questo momento, emotivamente trascinante e coinvolgente: si è visto, tangibile, un grande esempio di senso civico. Ed è questo il messaggio che deve restare, il rispetto, l’affermazione della regola, la corresponsabilità, fare rete per smantellare il sistema del malaffare, facendo sempre memoria dei martiri della legalità.

Liboria Cammarata

 

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