La democrazia dimenticata: il prezzo del non voto

In un’Italia sempre più anestetizzata sul piano della partecipazione democratica, l’astensionismo è ormai il partito di maggioranza relativa. Alle urne ci va chi ancora ci crede, chi spera o chi è spinto da un riflesso di appartenenza. Ma gran parte del Paese reale resta a casa. E non per svogliatezza.
Una quota dell’elettorato ha disertato il voto referendario per puro spirito di tifoseria: “se lo propone Tizio, io non partecipo”, ma anche se a proporlo sia Caio non è che la cosa cambi di molto. Ma questa è solo una parte della storia. La maggioranza silenziosa degli astenuti non è più quella dell’indifferenza, ma quella della nausea. Un’intera fascia di cittadini ha smesso di votare anni fa, non per pigrizia, ma per consapevole disillusione.
C’è chi è stanco, troppo stanco. Totalmente disilluso.
Chi ha votato lo ha fatto con coscienza, provando a leggere i quesiti referendari spogliati dalle etichette, scegliendo di esserci nonostante tutto. Perché in un clima di propaganda asfissiante, tra media allineati e oligarchie opache, partecipare alle urne potrebbe presto non essere più un diritto garantito.
La deriva è chiara: l’astensionismo rischia di diventare norma e in quel vuoto democratico si fa spazio il regime. Non il regime urlato dalle piazze, ma quello subdolo, fatto di abitudine all’inazione, di disillusione come anestesia collettiva.
E così, anche il “non voto” diventa un voto. Un voto che legittima lo status quo, che rafforza chi comanda e deresponsabilizza chi subisce.
E poi c’è un altro aspetto, più profondo e spesso ignorato: astenersi oggi è anche un’offesa silenziosa a chi ha lottato, sofferto e in alcuni casi perso la vita per conquistare il diritto di voto. È una dimenticanza comoda di chi ha marciato, scioperato, sfidato le dittature per dare a tutti la possibilità di contare. Rinunciare a votare è, anche, voltare le spalle a quella memoria, come se quelle battaglie fossero ormai inutili o superflue.
Non serve più sospendere il diritto di voto: basta svuotarne il senso.
E se davvero crediamo che tutto sia già deciso, che nulla cambi mai, allora il problema non è chi vince, ma chi smette di lottare.
Perché la democrazia muore così: non tra i colpi di stato, ma tra le nostre mani che, rassegnate, scelgono di non usarla più.
Manuela Acqua