Religione

Quando l’amore sconfina si dischiude l’universalità

Commento al Vangelo della XX^ Domenica del T.O. 16.08.2020

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita. (Matteo 15,21-38)

Nel brano evangelico di questa domenica viene esaltata la professione di fede di una donna pagana, una cananea, che invoca da Gesù la guarigione della propria figlia. E’ lei che muovendo da una regione pagana (qui rappresentate da Tiro e Sidone), da “straniera in terra straniera”, va incontro a Gesù per gridare la sua disperazione per la propria figlia sofferente ed esprimere nello stesso tempo tutta la sua fiducia nel Signore e tutto l’amore per la figlia. La sua umile audacia (che accetta di essere un cagnolino e chiede solo le briciole) lascia trasparire il desiderio stesso di Dio: far sedere alla sua mensa tutti, ebrei e pagani, e dare a tutti il pane dei figli. Ella, cioè, ha la forza di penetrare nel cuore stesso di Dio, in cui abita il desiderio di salvezza per ogni uomo.  Il suo coraggio è tale che, esprimendo davanti a Gesù il suo dolore, non ha paura del silenzio di Dio (“non le rivolse neppure una parola”) e non ha paura di sentirsi umiliata con un nome (cagnolino) che designa disprezzo e discriminazione. Ed è proprio questo non fare forza su se stessa, questo suo non pretendere nulla ma attendere tutto, apre questa donna alla gratuità: anche le briciole che cadono dalla tavola dei figli sono per un cagnolino un dono, qualcosa di inaspettato che dà gioia. Ed è questo coraggio che porta questa donna a chiedere a Gesù di cambiare un progetto: dare anche a lei, pagana, un po’ di quel pane che è destinato ai figli, cioè ad Israele, il popolo eletto. Sono la sua tenacia e la sua pazienza che la portano a tenere testa al Signore, compiendo il miracolo più grande: raggiungere il cuore stesso di Dio e far emergere da questo cuore tutta la compassione che lo abita. In un certo senso questa donna converteGesù, gli fa cambiare mentalità, lo fa sconfinare da Israele. Infatti, sino a questo momento Gesù, nella sua predicazione, aveva circoscritto la sua azione di salvezza “alle pecore perdute della casa d’Israele” -affidando tale missione ai discepoli- e solo dopo la sua risurrezione egli li invierà a fare discepole tutte le genti.

Gesù si lascia interpellare e cambiare dalla sofferenza che muove questa donna: la sofferenza è infatti il territorio abitato da ogni uomo che travalica ogni patria e confine e rende tutticonnazionali”. E così l’ascolto della sofferenza dell’altro trasforma la storia teologica di salvezza di un popolo (Israele) in una più concreta e umana prassi di salvezza delle storie individuali, storie personali e familiari precarie, spesso attraversate da drammi e sofferenze. Di fronte al dolore umano crolla ogni barriera (etnica, sociale, culturale) e la stessa appartenenza religiosa (giudei, pagani, cananei) passa in secondo piano. Sbalza, invece, la figura di una madre che soffre per la propria figlia e che può essere amata dal Signore allo stesso modo degli “eletti”, di coloro che secondo il piano teologico (prima i giudei, dopo i non-giudei) sono chiamati alla salvezza. La salvezza non è condizionata cioè dall’appartenenza ad un popolo, ma si trova nella fede/adesione al Signore. La donna cananea comprende quello che i discepoli fanno fatica ad accettare, ossia che la compassione e l’amore vanno al di là delle divisioni razziali, etniche e religiose. Un gesto d’umanità non può essere rifiutato mai ad alcuno.

E’ bella questa icona di madre che grida senza alcuna pretesa, che grida il suo amore e si accontenta delle briciole. Da lei dovremmo imparare a gridare il nostro bisogno d’amore, il nostro bisogno di essere salvati. Un’autentica esperienza di fede -infatti- può accadere solo da “stranieri in terra straniera”, quando cioè saremo capaci di spogliarci di tutto, di non dare nulla per scontato, disposti a convertire il nostro sguardo e a rinunciare alle nostre convinzioni e consuetudini. Quando saremo spogliati di tutto, divenuti stranieri a noi stessi, potremo anche noi gridare quel grido d’amore che introduce l’atto di fede. Non c’è elezione se non attraverso quel grido d’amore che apre i confini: per esso, nel brano evangelico, eletta è la donna ed  eletta è la madre. Il femminile, ancora una volta, sembra avere un privilegio nell’adesione di fede nel Signore rispetto al maschile che, invece, ripiega nella paura e nel sonno, come accadrà nei giorni della passione, o si attarda ancora sulla “poca fede” di Pietro.

In fondo, non ci sono “cani e figli”, perché l’unica divisione o differenza è “tra chi cerca Dio e chi pensa d’averlo in tasca”.

Giuseppe Vasco

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