MEdusa, il mito che si spezza: uno spettacolo che ci guarda dentro

Medusa. Il suo nome evoca terrore, pietra, mostro. Ma dietro quegli occhi che pietrificano si nasconde molto più di un simbolo mitologico. C’è una storia di dolore, una ferita ancora aperta, una verità taciuta per secoli. E quando finalmente Medusa prende voce in scena, la sala trattiene il respiro. Le sue parole, il suo sguardo, il suo racconto… da brividi. Nessuno rimane indifferente.
Sul palco del Teatro Greco di Morgantina, nel cuore del BarbablùFest, la Compagnia dell’Arpa ha portato in scena “MEdusa”, una creazione collettiva con drammaturgia originale di Elisa Di Dio e Filippa Ilardo, diretta dalla stessa Ilardo insieme a Dario La Ferla. Ma più che uno spettacolo teatrale, è un atto di coraggio. Una confessione nuda. Una ferita esposta alla luce.
La Medusa che ci parla non è il mostro del mito. È una ragazza. Dolce, devota, fedele alla dea Atena. Una giovane donna che viene violentata da Poseidone nel tempio della dea e poi punita dalla stessa Atena. La trasformazione in creatura mostruosa non è una scelta, ma una condanna. E come troppo spesso accade è la vittima a pagare, a essere additata, a essere esclusa. In questa rilettura potente e contemporanea, Medusa diventa simbolo universale di tutte le vittime colpevolizzate. È la voce di chi è stato tradito due volte: dalla violenza e dall’ingiustizia.
Elisa Di Dio, che incarna Medusa in scena, porta con sé una tale intensità da far vibrare l’intera platea. Ogni parola è un colpo. Ogni silenzio è un urlo trattenuto. Quando racconta il dolore, lo fa con una verità così profonda che è impossibile non commuoversi. È come se, per un attimo, il teatro cessasse di essere finzione e diventasse rito. Memoria. Resistenza.
Accanto a lei, Andrea Saitta è un Perseo vulnerabile, fragile, quasi smarrito. È un Perseo che riflette, che si pone degli interrogativi, che va nel profondo delle cose. Davide Campisi, nei panni di Poseidone e musicista dal vivo, trasforma le sue percussioni in battiti del destino. Jessica Aiello e Federica Gurrieri, sorelle Gorgoni e presenza evocativa, danno corpo al dolore condiviso, al legame tra vittime. È un’opera che si muove tra parola, danza, suono e sguardo. Che accarezza e poi graffia. Che accusa, ma non odia. No, non odia. Finalmente Medusa ha la possibilità di raccontare la sua verità e non lo fa con rancore o rabbia, lo fa con una risata disarmante, una risata che sa di liberazione.
Tutto concorre a costruire un’atmosfera ipnotica: le luci di Roberto Ragusa, i costumi di Simona Schincaglia, le scenografie di Claudio Castagna, il disegno sonoro di Gabriele Campisi. La scena diventa un luogo dell’anima, dove i ruoli si sgretolano e l’umanità emerge, cruda, vera.
In uno dei momenti più intensi dello spettacolo, Medusa riflette sul senso della violenza, su ciò che distingue l’umano dall’animale. È un pensiero che resta inciso nella memoria, che risuona oltre la scena. Perché questa non è solo una storia antica. È la storia di oggi. Di ogni donna abbandonata, giudicata, condannata. Di ogni corpo violato. Di ogni sguardo ignorato. Di ogni abuso mai ascoltato enon creduto.
Medusa non è una semplice opera teatrale. È una necessità. È una voce restituita. È uno specchio crudele e necessario del nostro tempo.
Lo spettacolo proseguirà il suo viaggio in luoghi suggestivi della Sicilia: Sperlinga (24 agosto), Tripi (28 agosto), Solanto (29 agosto), all’interno dei festival Teatri di Pietra, Due Mari e Contemporaneo Itinerante. Un rito che si ripete, che chiede ascolto, che pretende verità.
Sostenuta dal Comune di Enna, dal Parco Archeologico di Morgantina, dalla Villa Romana del Casale e dal GAL Rocca di Cerere, la produzione è un esempio concreto di come arte, memoria e impegno civile possano fondersi per generare bellezza resistente.
Guardare Medusa non ci pietrifica. Ci risveglia. Ci scardina. Ci cambia.
E forse, proprio per questo, non abbiamo voluto guardarla per così tanto tempo.
Questa non è solo un’opera teatrale. È una scelta. Un grido. Un canto. Un atto di resistenza poetica che ci interroga su chi sia il vero mostro e su cosa possiamo ancora diventare quando decidiamo di ascoltare, finalmente, gli occhi che nessuno ha mai voluto guardare.
Manuela Acqua