Cultura

Addio Maestro, ci rivedremo fra cent’anni

“Alla nascita ti danno il ticket in cui è compreso tutto: la malattia, la giovinezza, la maturità e anche la vecchiaia e la morte. Non puoi rifiutarti di morire perché è compreso nel biglietto. O l’accetti serenamente e te ne fai una ragione o sei un povero coglione!”
Andrea Camilleri

Eppure succede alle volte di non riuscire ad accettare tutto ciò che è compreso in questo ticket che qualcuno ti dà alla nascita, è umano. Perdi le speranze, decidi di non rispondere più ai richiami che questa meravigliosa vita nonostante tutto ci manda. Ti chiudi al mondo perché in fondo non hai deciso tu di comprare questo biglietto, hanno deciso altri e del grande mistero della vita non ti importa più. Decidi di stracciare il biglietto e metterlo in tasca. Non è più affar tuo.
Poi un giorno, in uno di quei giorni neri come tanti, capita di ritrovarsi per caso tra le mani un libro, uno di quelli in regalo col giornale che qualcuno in casa compra per tenersi informato sul mondo esterno. Il caso vuole che quella copertina sia nera come il tuo cuore e allora decidi di sfogliare un po’ quelle pagine che profumano di nuovo. È un giallo di Andrea Camilleri dal titolo Il gioco degli specchi ( Sellerio, 2011). Protagonista è il commissario Salvo Montalbano, hai visto qualcosa in tv magari, ma il testo è altro. Ha qualcosa che non ti sai spiegare. Passi qualche giornata dedicandoti alla lettura senza pensare a niente, senza pensare ai tuoi problemi. Decidi di comprare altri libri dello stesso autore con lo stesso protagonista, e c’è sempre qualcosa che non ti sai spiegare e che contemporaneamente ti spinge a ripescare quel famoso ticket di vita, pian piano lo recuperi dalle tasche e lo stiri con le dita.
Intanto vicissitudini della vita fanno sì che un tizio sconosciuto presenti le sue poesie sconosciute pubblicate a pagamento, davanti a una poco folta platea di colti lettori di riviste da spiaggia. Alla fine della sua autocelebrazione chiedi se lui essendo siciliano abbia mai letto qualcosa di Andrea Camilleri. Ti risponde con un sorrisetto brillante che assolutamente no! Quella ‘roba’ non la considera poesia e nemmeno letteratura, roba da fiction televisiva al massimo! Ti ritornano allora in mente le parole dette in un’aula dell’università, chi parlava sosteneva orgogliosamente che le autrici donne, ‘ahinoi’, non meritassero di stare nel programma del corso, insomma occorreva dare spazio ai ‘grandi’ uomini (maschi)! Episodi da accostare forse per lo stesso atteggiamento: un fare crudelmente ironico, “alto”, direttamente dalle “torri d’avorio” oserei dire… E intanto, e nonostante i pareri di chi di ‘grandi’ si occupa quotidianamente, quasi per magia i libri di Andrea Camilleri nella libreria aumentano. Geniale la lingua usata, una sorta di sperimentalismo linguistico degno dei nostri ‘grandi’ autori contemporanei, una sorta di plurilinguismo gaddiano personalissimo, in chiave siciliana;
“L’italiano mi diventava generico, le sfumature mi mancavano. E allora ho usato una specie di shaker e, a poco a poco, ho cercato ambiziosamente di creare una terza lingua che fosse tutta mia e il risultato di questa commistione .”
E poi il sentore di quel qualcosa che ti aveva permesso di ripescare dalle tasche il ticket della vita e della morte, così tutto compreso. Sensazioni difficili da reprimere o dimenticare.
Dal buio di pensieri e destini troppo grandi da accettare emergeva ed emerge come una Lama di luce ( Sellerio, 2012) la voglia dello scroscio del mare, di una nuotata in fresche acque, del profumo di salsedine e sabbia umida, di un bel bicchiere di vino in riva al mare, di una bella mangiata di pesce fresco, in silenzio assaporando la vita! Comprendi allora quel qualcosa: qualcuno scrivendo in una bellissima e particolarissima lingua di cose così piccole e così grandi insieme ti ha riportato alla vita, perché ancora vuoi gustare tutte quelle piccole grandi cose! Quasi una magia, la magia della Fata Morgana sulle acque dello Stretto, la magia vivificatrice della parola, della poesia ( Pascoli docet ). Che sia illusione poco importa, è balsamo! E allora sei pronto a mostrare il tuo ticket di vita e morte ogni volta sia necessario, perché vale la pena. Accetti il rischio.
Oggi, 17 luglio 2019, è morto Andrea Camilleri, caro Maestro a molti. E non sprechiamo parole inutili occupandoci dell’odio celato o malcelato di certi commenti irrispettosi anche dinnanzi alla stessa morte.
Oggi ricordiamo il Maestro attraverso uno dei suoi ultimi tributi Conversazione su Tiresia ( Sellerio, 2019) scritta e interpretata da Andrea Camilleri per la prima volta al teatro greco di Siracusa. L’ indovino cieco si presenta direttamente sul palco, al pubblico ” Tiresia sono” raccontando secondo un filo diacronico e letterario quello che gli è accaduto nel corso dei secoli, da Omero a Eliot, passando per Orazio, Dante, Pasolini, Levi e altri . Con lo scopo metaletterario di ” cercare di mettere un punto fermo nella mia trasposizione da persona a personaggio”. E il Maestro insegna ancora una volta ad amarsi e ad amare in quanto uomini e ammonisce dai mala tempora che corrono
” Levi racconta che nell’orrore del campo di concentramento nazista rischiò una metamorfosi peggiore della mia, quella da uomo a non uomo, e che a salvarlo fu proprio la poesia”.
Vivificatrice, eternatrice appunto come ricordano le antiche pietre di Siracusa, come racconti tu, Nenè, cantastorie e rabdomante ancora in grado di tirar fuori tanto altro da quelle pietre
” Da quando Zeus, o chi ne fa le veci, ha deciso di togliermi di nuovo la vista, questa volta a novant’anni, ho sentito l’urgenza di riuscire a capire cosa sia l’eternità e solo venendo qui posso intuirla. Solo su queste pietre eterne. Ora devo andare[…] può darsi che ci rivediamo tra cent’anni in questo stesso posto. Me lo auguro. Ve lo auguro”.
Vai caro Maestro, un sorriso tra le lacrime spunta rileggendo queste tue ‘profetiche’ parole e torna alla mente il verso oraziano : “ Non omnis moriar…”. Grazie

Donata Ribulotta

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