La Chiesa chiude alle unioni omosessuali: la famiglia? E’ solo uomo e donna. Leone XIV frena l’eredità di Francesco

Con dichiarazioni nette, che non lasciano molto spazio all’interpretazione, Papa Leone XIV ha recentemente ribadito la sua visione della famiglia cristiana: “fondata sull’unione stabile tra uomo e donna, società piccola ma vera, e anteriore a ogni civile società”. Il messaggio è stato pronunciato durante un’udienza con il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. E il segnale è forte: la dottrina cattolica torna a blindare la definizione tradizionale di famiglia, escludendo qualunque forma alternativa, incluse le unioni omosessuali, dal riconoscimento sacramentale e, di fatto, dal pieno orizzonte ecclesiale. Le parole di Leone XIV sembrano segnare una chiara discontinuità rispetto all’approccio più pastorale e aperto di Papa Francesco, che fin dall’inizio del suo pontificato aveva spostato l’attenzione dal giudizio alla misericordia. “Chi sono io per giudicare?”, disse nel 2013, dando il via a una stagione di ascolto e dialogo con le persone LGBTQ+. E non era solo retorica: con “Fiducia supplicans” (2023), Francesco aveva aperto alla possibilità di benedire coppie omosessuali, distinguendo chiaramente tra matrimonio e gesto pastorale, ma riconoscendo il bisogno di fede e di presenza nella Chiesa anche di chi vive relazioni fuori dagli schemi canonici.
Ora il tono cambia. Dove Francesco predicava accompagnamento e discernimento, Leone XIV rispolvera l’ordine naturale, il magistero classico e una teologia senza sconti. Nulla di nuovo sul piano dottrinale, certo. Ma a cambiare è l’accento: più duro, più netto, più “da manuale”.
Il nuovo Papa si inserisce nella scia di figure come Benedetto XVI o Leone XIII, ma con un piglio comunicativo più diretto, meno sfumato. Più “lineare”, si potrebbe dire. O più rigido, se vogliamo essere onesti.
Da credente, da osservatrice, da cittadina di questo tempo, non posso nascondere una certa inquietudine. Quello che viene presentato come un “chiarimento dottrinale” ha tutto il sapore di un passo indietro, proprio ora che la Chiesa sembrava finalmente aver imparato a parlare il linguaggio della vita reale.
No, non si tratta di mettere in discussione il valore del matrimonio cristiano, né di riscrivere il catechismo. Ma mi chiedo: che spazio resta per le persone che vivono percorsi diversi, che magari cercano Dio con sincerità, che chiedono solo una parola di benedizione, anche non sacramentale, per una vita condivisa, fatta d’amore e di fatica?
Tornare alla rigidezza senza mediazioni potrebbe voler dire perdere l’occasione di restare umani, prima ancora che teologicamente impeccabili. E, francamente, parlare ancora di “famiglia naturale” in un mondo che vive ogni giorno la complessità dei legami affettivi, suona un po’ come voler curare la febbre con le sanguisughe. Storico, sì. Ma funziona?
La società evolve. Le domande cambiano. Le richieste di riconoscimento, anche da parte dei fedeli, si fanno sempre più urgenti e legittime. È un errore pensare che accogliere significhi tradire la dottrina. Al contrario: è proprio lì, nel dialogo, che la fede ritrova il suo senso.
Papa Francesco, su questo, aveva indicato una via nuova. Magari imperfetta, certo non priva di tensioni, ma profondamente evangelica. Peccato vedere che quella strada oggi viene rallentata, forse sbarrata.
La Chiesa è chiamata a custodire la verità, sì. Ma se lo fa senza carità e senza intelligenza del tempo presente, rischia di custodire un tesoro in una cassaforte che nessuno ha più la chiave per aprire.
Manuela Acqua