Varie

Il Pride di Enna 2025: una festa dell’orgoglio, ma con qualche bandiera in meno

Il 31 maggio, Enna ha ospitato il suo secondo Pride: una giornata intensa, colorata, viva. Le strade si sono riempite di corpi, voci e cuori uniti nel gridare un messaggio semplice e necessario: “siamo qui, siamo orgogliosə, esistiamo e resistiamo”. Ed è stato bello. Emozionante. Un corteo composto da tante persone giovani e diversamente giovani, famiglie, attivistə, artistə, alleatə. Una festa, sì, ma anche una manifestazione politica che ha rivendicato diritti ancora oggi negati e identità ancora oggi invisibilizzate.

È stato un Pride bello, davvero. Di quelli che ti fanno venire voglia di camminare più dritta, di parlare più forte, di guardare il mondo con più fiducia. C’era musica, c’erano balli, abbracci, lacrime. C’erano cartelli ironici e parole potenti. E c’era una comunità viva, che nonostante tutto ha scelto di esserci: con fierezza, con tenacia, con amore. Il Pride di Enna ha mostrato che anche in una piccola città dell’entroterra siciliano si può costruire uno spazio libero, inclusivo, orgoglioso. Uno spazio dove sentirsi, finalmente, a casa.

Ma tra le note arcobaleno di quella giornata, qualcosa è mancato. E non solo agli occhi di chi conosce da vicino il tessuto politico e sociale ennese, ma anche a chi, più semplicemente, si è chiesto: “Dove sono finite alcune bandiere che l’anno scorso c’erano e che dovrebbero esserci sempre?”.

Non è una questione di simboli vuoti o di formalità da protocollo. È una questione di presenza politica. Mancavano, ad esempio, le bandiere dell’ARCI, dell’ANPI, della UISP, di Koinè A.P.S. e della Federazione degli Studenti di Enna. Tutte realtà che avevano contribuito attivamente all’organizzazione della prima edizione del Pride ennese e che, con un comunicato diffuso ad aprile, avevano annunciato la loro decisione di non aderire al comitato organizzatore del 2025, prendendo le distanze dal percorso intrapreso da AltraSponda, riconosciuta come capofila.

Quel comunicato, per quanto rispettabile nelle sue ragioni, conteneva anche parole importanti: “Ribadiamo con forza il nostro impegno a fianco della comunità LGBTQIA+”, “Continueremo a esserci, a lottare, a costruire insieme”. Parole sincere, ne sono convinta. Eppure, veder mancare fisicamente quelle bandiere in piazza, proprio nel giorno in cui la città chiedeva visibilità, sostegno, alleanze, ha fatto male. Perché c’era bisogno anche di loro. Di quelle realtà che hanno una lunga storia di difesa dei diritti civili e sociali, che hanno lottato contro le ingiustizie, che portano nella loro identità nazionale il valore della solidarietà, della giustizia, della libertà.

Non si tratta di fare processi. Né di negare le difficoltà o i dissensi interni. Ma viene da chiedersi: quando in gioco ci sono i diritti di una comunità ancora oggi marginalizzata, invisibilizzata e attaccata, non sarebbe più giusto scegliere comunque la strada della presenza, del dialogo, del sostegno attivo?

Il Pride non è proprietà di nessuno, è di tutte e tutti. Ed è anche questo che quelle assenze hanno messo in discussione. Il diritto della comunità di non sentirsi mai lasciata sola, soprattutto da chi, per missione e storia, ha scelto di stare dalla parte di chi resiste.

Molti attivisti e attiviste di quelle associazioni erano comunque presenti, a titolo personale. E questo fa piacere. Ma la mancanza delle bandiere, di una rappresentanza visibile e collettiva, ha lasciato un vuoto. Come se qualcuno, da qualche scrivania, avesse deciso che “quest’anno no, non tocca a noi”.

È legittimo dissentire. Ma non possiamo dimenticare che i Pride non sono solo feste: sono atti politici, necessari. E nei diritti civili, come nella giustizia sociale, non ci si prende pause. Le cause che ci uniscono dovrebbero sempre essere più grandi delle differenze che ci dividono.

Manuela Acqua

Mostra altro

Articoli Correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
error: Contenuto Protetto!
Close
Close