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Il prezzo della paura: quando il diritto cede al populismo

Decreto sicurezza un provvedimento governativo che aspirerebbe a garantire maggiore “sicurezza” ai cittadini.

Interventi incisivi sotto diversi aspetti, dalla occupazione abusiva di immobili al rapporto tra forze dell’ordine e manifestanti nelle occasioni di rivendicazioni di piazza, per la verità particolarmente frequenti negli ultimi tempi, che a volte hanno anche caratteristiche vicine alla vera e propria guerriglia urbana.

Ancora, sicurezza reclamata nelle stazioni, quartieri di periferia, posti occupati da persone, italiane e straniere, senza fissa dimora, piazze di spaccio ed anche zone sotto il controllo della criminalità organizzata, etc.

Ora, evitando ovviamente in questa sede di esprimerci sul merito del provvedimento, cosa che richiederebbe volumi interi di diritto penale, ci svestiamo della nostra conoscenza professionale per tentare di analizzare come si giunga a tutto questo.

In realtà, a quanto pare, l’Italia non è precisamente negli ultimi posti in tema di delitti comuni, anzi sarebbe la seconda Nazione più sicura dopo la Svizzera.

A tal proposito prendiamo ad esempio i recentissimi festeggiamenti per il Napoli Campione d’Italia, svoltisi con grande e coloratissima festa azzurra e coinvolgimento di cittadini e famiglie, senza alcun episodio fuori dalle righe durante la nottata, mentre l’altro ieri a Parigi, con l’occasione della vittoria della squadra di calcio in Champions League, diversi e numerosissimi soggetti hanno messo a ferro e fuoco la capitale, con esiti anche letali per due persone, vetrine infranti, furti ed altre numerosi e gravissime violenze.

Perché allora invocare una specie di legislazione speciale per fatti che, pur frequenti, rientrano certamente nel novero di norme già esistenti, se applicate per bene, nonché nell’attività di prevenzione di polizia, che certamente vede le nostre forze dell’ordine professionalmente capaci di poter fronteggiare anche in estreme situazioni di tensioni di piazza?

Perché, purtroppo, la nostra società attraversa un momento di fibrillazione non certo comune, stimolata e solleticata da una informazione spesso troppo indulgente all’esaltazione del male, proiettandone una immagine distorta, quanto meno nelle reali dimensioni del fenomeno.

Si aggiunga poi il dibattito social, sempre più intriso di cattiveria ed offese gratuite, nell’errata percezione che una frase scritta in solitudine e lanciata nella rete sia più innocua che se pronunciata in presenza e magari non se ne avrebbe nemmeno il coraggio di farlo di fronte all’altro.

La politica, che non indica più la strada ai cittadini ma ne raccoglie ed asseconda il flusso eccitato e sopravvalutato, senza riflessione critica, tutto innervato di negatività, creando norme a costo zero, accontentando i “crucifige” urlati spesso senza vera conoscenza dei fatti e mettendosi a posto con l’eterna campagna elettorale vigente.

Il tutto al prezzo di stracciare il diritto ed esporsi alle, doverose, correzioni della Corte Costituzionale, che assume su di sé un compito che non le è proprio ma, tant’è, qualcuno dovrà pure occuparsi di tracciare i confini ed i limiti a questo populismo penale senza freni.

Da dove parte tutto, perché ci siamo così incattiviti, aldilà dell’attuale momento di incertezze e crisi economiche e geopolitiche in corso non è facile a dirsi, ma potremmo individuare un momento preciso, apparentemente liberatorio, ovvero la c.d. “tangentopoli”, quando la gente diede avvio agli istinti rivendicatori che covavano da tempo, individuando nella classe politica al tempo dominante l’origine di tutti i propri mali, lanciando monetine e fax, finalmente soddisfatta del loro inglorioso cadere sotto i colpi dei magistrati, novelli tribuni della plebe e vendicatori del popolo oppresso da affaristi, ladri e truffatori.

Ben presto ci siamo resi conto che finita la stagione, non del tutto sprecata, abbiamo però buttato il bambino con l’acqua sporca, ovvero disperso un senso del dovere, del rispetto per le istituzioni e per il vivere civile e per una libertà, conquistata a caro prezzo e mantenuta grazie anche a chi le aveva impersonate con dignità ed onore.

Non solo tangentisti e disonesti abitavano i palazzi del potere ma anche persone che rispettavano il popolo e non furono coinvolti nei traffici illeciti.

Col tempo, sotto il profilo della moralizzazione della politica non è cambiato nulla, anzi, ma si rincorre così di emergenza in emergenza, con grida manzoniane, il sentimento popolare, forse falsamente generato e furbescamente cavalcato in cerca del consenso spicciolo.

Ne rimangono vittima sul campo la coscienza liberale e il dibattito costruttivo, poi anche distrutti dalla stampa, sempre più scandalistica ed i talk televisivi dopo ciascuno si parla sopra, affermando la legge del più urlante, non certo del migliore argomentante.

Ci fermeremo da questa spirale, sempre più autoalimentata o avremo coscienza che di allarme in allarme, di sicurezza in sicurezza, finiremo sempre più in basso, dimenticando i nostri valori e la raffinatezza della vita pubblica e degli interpreti di un tempo?

Ogni popolo ha la classe dirigente che si merita, diremmo, riflettendo in essa le caratteristiche del popolo che la esprime, ma vogliamo riprendere le prime parole del nuovo Pontefice Leone IV, che ha parlato di disarmo, non solo materiale ma anche verbale, indicando la strada per una rinascita della vita civile dell’Occidente.

Tolleranza, rispetto per l’altro, dialogo, ascolto, accoglienza, sono le nostre millenarie conquiste e, sul piano della sicurezza, prevenzione, affrontando davvero dal punto di vista sociale i disagi alla base di tanti episodi, anche sotto il profilo della violenza sulle donne e sulle persone fragili.

Il diritto penale non è fatto per mostrare la faccia feroce dello Stato che punisce, ma per stabilire se un fatto è avvenuto e se l’accusato ne sia il colpevole, non per risolvere problematiche così ampie ed articolate, che attraversano le periferie delle città ed i luoghi della sofferenza e servirebbe uno sforzo di tutti, soprattutto con l’esempio.

Come sempre, restiamo pessimisti della ragione ma ottimisti nella volontà.

Gianpiero Cortese

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