Varie

Il Caso Rugolo: in attesa del decreto di dimissione dallo stato clericale

A seguito di un procedimento canonico, Rugolo è stato condannato e la commissione dei giudici ha proposto la sua dimissione dallo stato clericale. Ora si attende il decreto che renderà effettivo tale provvedimento, segnando un passaggio cruciale nel lungo iter ecclesiastico che ha fatto seguito alla condanna.

È doveroso osservare che l’azione del Vescovo appare tardiva agli occhi di molti. Tuttavia, va considerato un elemento fondamentale: subito dopo la sentenza di primo grado, Antonio Messina ha nuovamente scritto a Papa Francesco, allegando alla missiva tutti gli atti processuali. Questi sono stati trasmessi al Dicastero per la Dottrina della Fede, al Dicastero per il Clero e a quello per i Vescovi, all’epoca guidato dall’attuale Papa Leone. Un gesto che dimostra l’attenzione e la determinazione con cui Messina ha cercato, ancora una volta, di richiamare l’istituzione ecclesiastica a una presa di posizione netta.

Per Antonio Messina, questa condanna e la proposta di dimissione rappresentano una parziale ma significativa risposta a ciò che ha sempre chiesto sin dall’inizio: che Rugolo venisse allontanato in modo definitivo da qualsiasi contesto in cui potesse avere contatti con minori. Secondo Messina, se questa decisione fosse stata presa con tempestività, forse si sarebbero potuti evitare ulteriori sofferenze, denunce e procedimenti giudiziari.

Il suo intento, come ha sempre ribadito, non era muovere guerra alla Chiesa, ma proteggere altri ragazzi da esperienze simili a quelle vissute da lui e da altri. Non va dimenticato, infatti, che la condanna di Rugolo riguarda anche abusi commessi su altri due ragazzi. Elementi che rendono ancor più evidente la gravità della situazione e il peso delle omissioni iniziali.

Oggi Messina si dice soddisfatto per l’esito, ma allo stesso tempo si interroga sul silenzio che avvolge la posizione dei Vescovi siciliani. Un silenzio che, in un momento tanto delicato, lascia spazio a molte domande. La voce di chi ha denunciato, con coraggio e spesso in solitudine, ha infine contribuito a far emergere la verità. Una verità che, pur attraverso percorsi dolorosi, ha impedito che altri subissero ciò che lui e altri hanno già vissuto.

In attesa del decreto definitivo, resta l’urgenza di riflettere sul ruolo delle istituzioni ecclesiastiche e sulla responsabilità morale e pastorale nei confronti delle vittime. Perché, come dimostra la vicenda, agire tardi può significare lasciare che altri soffrano inutilmente.

Per Antonio Messina, questo non è un punto di arrivo, ma un segno tangibile che la verità, anche quando trova ostacoli, alla fine riesce a farsi strada. Non ha mai cercato vendetta, ma giustizia e tutela. Ha portato sulle spalle il peso di un dolore personale trasformandolo in un’azione civile e morale, mettendoci il volto, la voce e la forza di non voltarsi dall’altra parte.

Se oggi altri ragazzi sono stati risparmiati da esperienze simili, lo si deve anche al suo coraggio. In un silenzio che spesso ha fatto più rumore delle parole, la sua scelta di parlare ha tracciato una via. E forse, proprio da quel dolore, nasce un seme di cambiamento che ancora la Chiesa è chiamata a riconoscere e coltivare.

Manuela Acqua

Mostra altro

Articoli Correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
error: Contenuto Protetto!
Close
Close