Varie

Enna, un reggiseno e il moralismo appeso al balcone

Lo scorso 31 agosto, durante la processione di Maria SS. di Valverde a Enna, un episodio del tutto singolare ha attirato l’attenzione generale: un reggiseno, steso ad asciugare su un balcone di via Candrilli, è finito accidentalmente sulla vara durante il passaggio della statua, causando un’interruzione di pochi secondi. Un piccolo imprevisto, subito risolto. Un incidente domestico, umano, reale.

Eppure, ciò che si è riversato online nelle ore successive è ben più grave del gesto involontario di chi aveva steso i propri panni come ogni giorno. Tra commenti sarcastici, ironici e purtroppo anche pesantemente offensivi, in molti si sono scagliati contro la “maleducazione” della proprietaria dell’indumento.
“Poco buon senso”, “zero galateo”, “una mancanza di rispetto”, “non si fa”: un’ondata di giudizi impietosi e fuori misura, lanciati con una leggerezza che fa più rumore del reggiseno stesso.

Ma davvero siamo arrivati a questo punto?

Davvero una donna, una persona, una cittadina, un essere umano come tutti, deve essere sputata nel fango mediatico per aver steso un capo d’intimo sul proprio balcone? Davvero bastano pochi centimetri di tessuto perché si attivi quel riflesso sociale di giudizio, di condanna, di umiliazione pubblica?

Nessuno si è chiesto se, magari, quella persona abbia semplicemente dimenticato quel capo steso. Se per caso le fosse successo qualcosa o se non fosse riuscita a rientrare in tempo per toglierlo. Nessuno ha pensato che dietro quel balcone ci potesse essere una vita normale fatta di figli da accudire, di lavoro da gestire, di pensieri, di stanchezza.
Una vita come tante, dove ogni tanto ci si dimentica qualcosa. E succede. Succede davvero a tutti.

Nessuno ha avuto un attimo di empatia, quella cosa così semplice e rara, che ci dovrebbe far dire: “Può capitare. Non è successo niente di irreparabile.”

E invece no. Il web è esploso di moralismo: quello facile, quello che si sente offeso da un reggiseno ma non si scandalizza per la violenza verbale, per il disprezzo gratuito, per l’assenza totale di umanità. D’altronde (non per rimarcare sempre sugli stessi punti) la nostra fede cittadina, negli ultimi anni, è stata intaccata da storie ben più drammatiche, che hanno lasciato cicatrici vere e profonde.
Parliamo di sofferenze vissute da minorenni, di un prete condannato in secondo grado per reati gravissimi, in attesa di essere ufficialmente “spogliato” del proprio ruolo.
Eppure… non mi pare che la città abbia reagito con la stessa durezza per difendere la fede. Anzi. Silenzi, imbarazzi, sguardi voltati altrove.
Nessuno lì a gridare al disonore, alla mancanza di rispetto, alla vergogna per l’offesa alla processione.

E allora viene spontaneo chiedersi: dove va davvero il nostro senso del sacro?
Perché non è un reggiseno a offendere la fede, ma l’indifferenza verso il dolore.
Non è un capo steso a oltraggiare la tradizione, ma la volontà di giudicare solo dove fa comodo.
Non è un incidente domestico a sporcare una processione, ma il cinismo che sporca il cuore.

Lasciamo il diritto all’errore. Restituiamo dignità alle persone.
E impariamo, finalmente, a distinguere ciò che è davvero indecente da ciò che è semplicemente umano.

Manuela Acqua

Mostra altro

Articoli Correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
error: Contenuto Protetto!
Close
Close