Cronaca

Enna, il nuovo vicario foraneo: la nomina di Rossignolo e gli interrogativi che restano

È ufficiale: don Sebastiano Rossignolo, parroco della chiesa di San Bartolomeo di Enna, è il nuovo vicario foraneo della città. Prende il posto di don Giuseppe Fausciana, parroco di Sant’Anna, come disposto dal vescovo monsignor Rosario Gisana, alla guida della diocesi di Piazza Armerina. Una nomina che, se da un lato rientra pienamente nelle facoltà previste dal diritto canonico (can. 553), dall’altro solleva interrogativi per il contesto e per le figure coinvolte.

Secondo la normativa canonica, la nomina del vicario foraneo spetta unicamente al vescovo, il quale, “a suo prudente giudizio, dopo aver sentito i sacerdoti che svolgono il ministero nel vicariato”, sceglie la persona più idonea a coordinare la vita pastorale delle parrocchie locali.

Eppure, questa volta, più che una semplice nomina, la decisione appare come un gesto che interviene in un momento di forte tensione interna alla Chiesa ennese. Già da tempo, infatti, in diverse parrocchie della città si registra un chiaro segnale di disagio e di imbarazzo nei confronti della presenza del vescovo, che sembra non essere sempre gradita e accolta con serenità.

Chi è don Sebastiano Rossignolo? Rossignolo non è un nome nuovo nella diocesi. È stato nominato parroco di San Bartolomeo nel 2017, dopo un lungo periodo lontano dal ministero sacerdotale: un’assenza durata un decennio, in molti vociferano per una sospensione a divinis, le cui ragioni non sono mai state rese note pubblicamente. È stato recuperato dal vescovo Gisana e reintegrato nel clero attivo. Una scelta pastorale che molti hanno letto come gesto di misericordia e fiducia, ma che oggi, vista la nuova nomina, assume anche un valore simbolico: Rossignolo è considerato uomo di fiducia del vescovo, un segnale che, agli occhi di molti, sembrerebbe voler restituire legittimità e consenso alla figura del vescovo Gisana all’interno della comunità ennese.

Ed è proprio qui che sorgono le domande. Come mai affidare un incarico di coordinamento e vigilanza (quello di vicario foraneo, appunto) a un sacerdote che per oltre dieci anni non ha esercitato il ministero? E perché privilegiare una figura che, nel contesto di scandali e ferite ancora aperte nella diocesi, non ha mai espresso pubblicamente una parola di condanna nei confronti degli abusi sessuali perpetrati dal clero locale e coperti, in parte, dal silenzio istituzionale?

Non sfugge infatti che don Rossignolo, in più occasioni, abbia espresso sostegno al vescovo Gisana, anche nei momenti più delicati delle vicende giudiziarie legate all’ex sacerdote Giuseppe Rugolo, che, lo ricordiamo, è stato condannato in secondo grado a tre anni per violenza sessuale su minori e ridotto allo stato laicale.

Proprio nelle intercettazioni relative al caso Rugolo emerge inoltre che Rossignolo e il vicario generale Nino Rivoli, nel corso di alcune conversazioni, attribuiscono a don Fausciana una sorta di responsabilità in merito alla denuncia presentata da Messina e si soffermano più volte a discutere sull’utilizzo delle risorse economiche della diocesi.

Dall’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi fanno sapere che tutti e dodici i vicari della diocesi sono stati rinominati. Alla domanda se sia vero che Rossignolo sia stato sospeso a divinis, spiegano di non saperlo, ma confermano che per dieci anni è stato fuori dalla diocesi.

È difficile ignorare che, mentre altri sacerdoti si sono allontanati da certe posizioni di potere o hanno pagato il prezzo del dissenso, chi ha mantenuto fedeltà alla linea episcopale oggi venga premiato con un incarico di rilievo. Dietro la sostituzione di Fausciana, dunque, non si può non intravedere una frattura più profonda: quella tra una parte del clero e del laicato ennese, stanca di silenzi e di ambiguità e una gerarchia diocesana che continua a gestire il dissenso come un fastidio da neutralizzare.

È legittimo chiedersi se questa nomina rappresenti davvero un passo verso la ricostruzione morale e pastorale della diocesi o piuttosto l’ennesimo segnale di chiusura e di fedeltà cieca all’autorità. Il diritto canonico parla di “prudente giudizio” del vescovo. Ma quanto può dirsi prudente una scelta che rischia di riaccendere ferite e sospetti? E ancora: quale peso pastorale potrà avere un vicario foraneo che, nella città delle ferite taciute, non ha mai preso parola contro ciò che le ha generate?

Finché queste domande resteranno senza risposta, la nomina di Rossignolo sarà solo il simbolo di una Chiesa che, ancora una volta, preferisce il silenzio alla trasparenza.

Manuela Acqua

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