Quando una querela diventa un boomerang: il Gup rimette ordine nel caso Primavera

C’è un momento, nella vita giudiziaria di un territorio, in cui il buon senso torna finalmente a farsi largo tra i faldoni. A Enna, quel momento è arrivato il 9 dicembre, quando il Gup Zelia Futura Maimone ha dichiarato la nullità della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di ventotto cittadini accusati di diffamazione ai danni di Giuseppe Primavera.
Una decisione che pesa, perché rimette ordine là dove, per mesi, si era stratificato un contenzioso che sembrava aver perso di vista il punto essenziale: la proporzione.
La vicenda è nota. Tutto nasce da un post pubblicato nell’agosto 2023 da Antonio Messina, che raccontava un’ennesima aggressione subita in un bar cittadino. Un fatto grave, che aveva suscitato indignazione e numerosi commenti di solidarietà.
Nessun nome, nessun riferimento a persone identificabili: solo la condanna di un gesto ritenuto inaccettabile da chi leggeva.
Eppure, Primavera si è riconosciuto come soggetto leso e ha sporto querela. La Procura, valutati gli atti, aveva chiesto l’archiviazione. Ma l’opposizione del querelante aveva portato il GIP a disporre l’imputazione per tutti. Ventotto persone trascinate in un procedimento penale non per ciò che avevano scritto, perché il contenuto era generico, ma per ciò che qualcuno aveva ritenuto di leggere.
Ora, la decisione del Gup riporta equilibrio. Le accuse, si legge, erano troppo generiche. E così gli atti tornano alla Procura: tutto da rifare. Cade nel vuoto anche la richiesta di costituzione di parte civile, con cui si erano chiesti dal legale di Primavera, l’avvocato Marco Fantasia, risarcimenti da 17.700 euro per Messina e da 11.700 euro per ciascuno degli altri denunciati.
È difficile non scorgere, in questa vicenda, una riflessione più ampia sul valore della parola pubblica e sull’uso (talvolta l’abuso) dello strumento penale. Perché quando un post che denuncia una violenza subita diventa il punto di partenza di una battaglia giudiziaria contro chi esprime solidarietà, si rischia di confondere il diritto tutela dell’onore con la pretesa di zittire il dissenso o il racconto del reale.
Gli avvocati degli imputati, Eleanna Parasiliti Molica, Patrizia Di Mattia, Zaira Baldi, Giovanni Di Giovanni, Giacomo Pillitteri e Dario Falsone, hanno espresso soddisfazione. Una soddisfazione comprensibile: da mesi difendono cittadini che non avevano accusato nessuno, che non avevano diffamato nessuno, che avevano solo commentato la notizia di un’aggressione.
Non spetta a noi anticipare ciò che accadrà ora. Il procedimento riparte e la giustizia seguirà il suo corso. Ma una cosa è certa: questa storia dimostra che non tutte le denunce illuminano, non tutte le querele chiariscono. Talvolta, anzi, rischiano di fare il contrario. E allora, forse, la vera lezione da trarre è che il diritto non può essere chiamato a dirimere ciò che nasce da un’interpretazione personale. Perché il tribunale non è l’arena in cui si combattono ombre. A volte, basta guardare i fatti per ciò che sono. E lasciar parlare il buon senso.
Manuela Acqua



